1 giugno 2013

VAVA KITORA - Prithivi Mandragoire [Deserted Factory, 2007]


... cominciamo da quest'album, che poi fu quello che mi fece scattare l'innmoramento per i suoni della dolce e divina Sachiko, della quale e se ci riusciamo - dato che da qualche mese è in giro un nuovo lavoro - cercheremo di scriverci ogni tanto due paroline, così come l'altra componente di questo nipponico duo tutto al femminile.

"Big In Japan"; così recitava una famosa canzone pop degli anni ottanta. Parafrasando il titolo di quel brano, "Prithivi Mandragoire" risulta essere un disco pensato, creato e prodotto tutto in Giappone. Giapponesi, infatti, sono le artiste che compongono il duo delle Vava Kitora, così come l'etichetta, la Deserted Factory. Sachiko (voce ed electronics) e Yama Akago (voce, electronics, ocarina, bouzouki) sono i nomi di queste due fanciulle; entrambe hanno alle spalle varie pubblicazioni in solitario, ma ogni tanto si ritrovano per far uscire un album a nome Vava Kitora.
Questo mini album, distribuito in sole duecento copie e seguito del promettente debut del 2004 intitolato "The Labyrinth Of Angulimara", sonda, attraverso le due uniche tracce, l'inconscio umano ponendolo in relazione al fatidico momento di passaggio tra la vita e la morte.
"Breath Harmony" è il brano iniziale: una voce appena sussurrata, accompagnamenti strumentali flebili che conferiscono forti sensazioni di rilassatezza, geometrie eteree e atmosfere da trance ipnotica; quel che si dice un viaggio regressivo e meditativo nel proprio subconscio.
Nella traccia titolo ("Prithivi Mandragoire"), la voce assume forme più spettrali e i field recordings si accentuano, mentre lievi sonorità industriali su una chiara matrice dark ambient la fanno da padrone. Con il passare del tempo - la traccia dura circa venti minuti - i suoni, glaciali e caotici, acquistano energia tanto da riuscire a scuotere le pareti della stanza creando un vortice che risucchia e spinge tutto ciò che trova all'interno del più profondo e oscuro pozzo infernale.
Un album che si può definire come il canto dannato dei fantasmi; senza alcun dubbio un disco passato inosservato e per questo motivo da rivalutare.

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