7 settembre 2014

ANNA GARDECK - Bondage Women [White Ashes, 2014]


Eh, io avrei voluto mettere una sua foto, ma in rete non si trova nulla. ... dai, facciamo finta che dietro quella maschera c'è la misteriosa Anna Gardeck. Che vi devo dire, ognuno ha i propri album del cuore, e "Bondage Women" è per me uno di quelli.
Vabbè, ecco la pseudorecensione rilasciata per la webzine The New Noise ...

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Anno 2000, quello del millennium bug, che poi finì per essere un colossale flop mediatico. È però anche l’anno in cui una misteriosa Anna Gardeck pubblica Bondage Women, un disco con le stigmate, destinato a rimanere nell’hall of fame del genere industrial-noise. L’artista austriaca (?) è però avvolta da un alone di mistero, non solo perché è difficile trovare sue notizie in giro (qualcuno potrebbe perfino pensare che non esista), ma perché questo è l’unico lavoro finora realizzato. Sì, lo so, è possibile trovare il suo nome – assieme a quello di Sven Bussler (ovverosia mister Wappenbund) – fra i credits dei due capitoli Wiener Aktivisten, ma Anna Gardeck sarà sempre ricordata per questo disco, già alla quarta ristampa (per White Ashes, la prima e ultima label ad averlo pubblicato, anch’essa vicina a Bussler): veste grafica quasi simile alla precedente, nessuna traccia bonus ma identico voyeurismo sonoro, fatto d’attillati corsetti viola, ambigue maschere, lacci neri plastificati, asfissianti bavagli e – ovviamente – tanto latex, o forse sarebbe meglio dire animallattice, come il titolo dell’ipnotico brano industrial del 1987.

Apre “Rubber Rituals I”, una sorta di malizioso preambolo erotico. Anticipa l’atto sessuale con scariche temporalesche e opprimenti basi dark-ambient, che intrecciandosi con sonorità marziali e sanguinolenti colpi di frustini d’acciaio, ne accentuano i toni tenebrosi, assumendo così sfumature (quasi) sadomaso. Intanto, una robot scandaglia step by step la perversa pratica amorosa, eseguita all’interno di una gabbia di platino elettrificata e rivestita di chiodi arrugginiti (“Gestörte Zweisamkeit”). L’atmosfera classicheggiante di “Verachtung” (che significa disprezzo) non basta ad attenuare la costrizione fisica, provocata dalle continue fustigazioni, dalle legature sempre più strette e dalle immagini e dai rumori di martelli che percuotono pesanti incudini in ghisa. “Rubber Rituals III” chiude ad hoc il cerimoniale: in poche parole, come suonerebbe oggi un’ouverture di musica classica se Mozart, Bach, Beethoven e Wagner si trovassero assieme per un’improvvisata sessione industrial austro-prussiana.
Quindici anni e – si diceva – ben quattro edizioni. È evidente che ha una discreta richiesta, altrimenti non si spiega il perché le prime release siano (quasi) introvabili. È uno di quei dischi da aggiungere nel proprio catalogo delle malattie, dunque da acquistare. Per quel che mi riguarda, è anche stata la ghiotta occasione per spostare finalmente il cd di Renato Zero, posto accanto al “Now Wait For Last Year” della compianta Caroline K.

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