- Stenka Bazin -
Sto copiando per una persona amica, esattamente come si faceva negli anni Ottanta, una cassettina di Guanajuato, così mi è venuto in mente di postare l'articolo che ho scritto tempo fa per la webzine The New Noise, scritto con il quale ho esordito da quelle parti e che spero vi piaccia.
"No Art, No Musik,
No Kulture, No Perfect, No Message"
In una delle due
volte che mi trovai dalle parti di Orléans in Francia, mi recai – come in una
sorta di devoto pellegrinaggio – in Rue Coquille 6: indirizzo che ai più non
dice nulla, ma che è riportato in tutte le copertine delle produzioni di un
certo Claude Escarmand alias Stenka Bazin, di cui abbiamo perso le tracce sul
finire degli anni Ottanta.
Il campanello non
riportava alcun nome e avrei tanto voluto bussare, ciononostante la casa dava
la sensazione di essere tuttora abitata e viva. Nel frattempo – con andatura
lenta e sacchetti della spesa tra le mani – passava per lo stretto marciapiede
una donna anziana; gentilmente la fermai, e con il mio pessimo francese le
porsi questa domanda: “Scusi madame, monsieur Escarmand risiede ancora lì?”.
Ella mi rispose – con la solita cordialità delle persone di una certa età – che
qualcuno tuttora ci abitava, però non riuscì a dirmi se fosse la persona che
cercavo. Nel dirle grazie, e con lo sguardo più malinconico di quello che già
manifesto solitamente, mi allontanai, con la speranza, un giorno, di ritornare
in pellegrinaggio.
Strana cittadina
Orléans, misteriosa e apparentemente tranquilla. Le oscure presenze, che si
nascondono e aleggiano tra l’imponente cattedrale gotica, e i tortuosi vicoli e
vie che confluiscono e terminano sulla riva nord della Loira, avvolta da una
tetra e grigia caligine, la rendono ancor più inquietante. Curiosità, è
peraltro la stessa città di Giovanna D’Arco, la famosa pulzella che, prima che
la chiesa cattolica la facesse santa, fu in principio processata e bollata
com’eretica, per poi, infine, essere arsa viva nella vicina Rouen, in uno dei
tanti paradossi storici del sopraccitato culto religioso.
Sono queste caratteristiche – ereditate (forse) geneticamente dall’eroina francese – sempre visionarie, schizofreniche, anarchiche e pazzoidi, che contraddistinguono i lavori di Stenka Bazin dal resto dei progetti francesi dell’epoca; quelli appartenenti alla corrente industrial-noise – meglio dire bruitisme, altrimenti i galletti transalpini si offendono – come le urticanti e infernali bordate noise degli Étant Donnés dei fratelli Hurtado, le religiose e raffinate sfumature ambient di Christian Renou aka Brume e la materialità oggettiva del rumore del metallico-industriale Vivenza.
Sono queste caratteristiche – ereditate (forse) geneticamente dall’eroina francese – sempre visionarie, schizofreniche, anarchiche e pazzoidi, che contraddistinguono i lavori di Stenka Bazin dal resto dei progetti francesi dell’epoca; quelli appartenenti alla corrente industrial-noise – meglio dire bruitisme, altrimenti i galletti transalpini si offendono – come le urticanti e infernali bordate noise degli Étant Donnés dei fratelli Hurtado, le religiose e raffinate sfumature ambient di Christian Renou aka Brume e la materialità oggettiva del rumore del metallico-industriale Vivenza.
Il nome Stenka
Bazin deriva – e non credo sia un caso – da Stepan Timofeevič Razin: una sorta
di Robin Hood russo di fine Seicento, uno dei pochi rivoluzionari che osò
andare contro la monarchia zarista dell’epoca, e causa tradimento trovò una
morte macabra, finendo per essere pubblicamente e brutalmente squartato. Ai
giorni nostri, ufficialmente, sono giunti solo nove dei suoi album, tutti
autoprodotti e in rigoroso formato audiocassetta, pubblicati presumibilmente
tra il 1984 e il 1987 attraverso la propria etichetta Émergence Du Refus: la
minuscola label che chiuderà i battenti da lì a poco con circa una trentina di
titoli, per lo più compilation, ma anche assolute gemme di culto, quali la
tenebrosa opera dark-ambient Transparency a nome Arnovah e Le Prix Du Péché di
Moïra XII, ovverosia l’inquietante progetto artistico/musicale creato da Veïdt
Mjölnïr (Le Syndicat), che vide la partecipazione dello stesso Claude Escarmand
in veste di featuring per due soli brani (“La Source” e “Renaissance”).
Dicevamo, nove
album deviati e malati; costruiti su suoni radicali e senza compromessi,
insomma: quella sorta di caos controllato e di brutale, personalissimo e
ricercato stile sonoro descritto perfettamente nella frase d’apertura, che
potete trovare all’interno del booklet di Survie. Proprio quest’ultimo
nastro – assieme ad Apartheid e Guanajuato – è sicuramente uno di quelli
più riusciti, se non altro perché era fornito con un’aspirina da 250mg, o forse
era 500mg; poco importa il dosaggio, infatti, fu subito consumata, poiché
curioso di scoprire gli effetti di un farmaco scaduto da quasi 25 anni (non è
vero, ma fui assai tentato).
Per chi
non ha orecchie allenate, Survie è il più – si fa per dire – ascoltabile;
ciononostante risulta caotico e psicotropo: un marcio conglomerato
d’angoscianti ed elettrici tappeti sintetico-minimal, squarciati da percussive
ritmiche technoidi di minuscoli pistoncini pneumatici, si scontra ciclicamente
e in modo asincrono con le pulsazioni del cuore, provocando così aritmia e
comunicando al cervello, attraverso il sistema nervoso centrale, di generare
immediatamente frequenze stabilizzatrici pronte a tagliare fuori quelle nocive
e disturbanti.
Una
mola abrasiva, un disco diamantato da taglio, un inferno metallurgico, invece,
è Apartheid. Venduto e affiancato dallo splendido artwork di ben otto pagine
color blu cobalto sfumante violaceo, e ricco d’illustrazioni – disegnate dallo
stesso Escarmand – al limite fra il perverso, l’erotico e l’inquietante,
Apartheid è quello che oggi definiremmo noise temporalesco: un ciclone
atmosferico della categoria più elevata, dalle tetre e blasfeme sfumature
dark-ambient; è musica distruttiva, quella che sconquassa il subconscio, quella
che tormenta e crea turbamenti nell’animo. Per farvi un esempio con qualcosa di
visivo, l’’immaginario sonoro è quello che si può trarre stando nelle immediate
vicinanze del cratere di gas di Darvaza, in Turkmenistan; cratere che brucia da
ben trent’anni e che viene altresì chiamato “La porta dell’inferno”.
Molto
probabilmente – anche se non è certezza – Guanajuato è l’ultimo lavoro di
Stenka Bazin, l’atto testamentario, nonché il vero capolavoro. Puzza di
putrefazione ed è viscerale. I succhi gastrici che ribollono per l’aumento
della temperatura e della pressione interna; le opprimenti, asfissianti e
tossiche atmosfere collidono con le forti turbolenze caustiche, provocando la
corrosione delle pareti refrattarie dello stomaco umano. L’ambiente si fa
sempre più acido e i liquidi corporei evaporano, mentre i tessuti molli si
vulcanizzano fino ad ottenere una sorta di mummificazione chimica. Le mummie –
ritratte peraltro nella splendida copertina – come ad indicare la morte, la
fine di un ciclo, l’immortalità sonora di Stenka Bazin? Può essere, infatti, è
una domanda che avrei voluto fare all’artista. Per la cronaca, il titolo di
questo disco proviene dalla cittadina messicana, appunto Guanajuato, famosa
appunto per le mummie di corpi umani, perfettamente conservate per merito
d’uniche e favorevoli condizioni ambientali.
Mercenaire è la
raccolta di quelle tracce sparse qua e la nelle varie compilation dell’epoca,
ivi comprese le due all’interno del disco di Moïra XII; ottimo per chi è pigro
e vuole saltare qualche passaggio, cominciando così a farsi una concreta idea
sonora sull’oscuro personaggio Stenka Bazin.
Conclusione: se
potessi farlo, chiederei a Saphi alias Nocturne se quel suo concetto di terrore
sonico, da lui stesso definito “Artschock”, affonda le radici su certe sonorità
vicine a Stenka Bazin. Nel mentre, è assai probabile che Claude Escarmand abbia
chiuso definitivamente con l’arte della musica; ed è molto strano che, oggi,
nell’era dei social network, usati quasi esclusivamente dalla popolazione
mondiale per un inutile cazzeggio, non si riescano a trovare due stralci di
righe, notizie di varia natura, dove abita, e se è soprattutto ancora vivo.
Qualche anno indietro feci delle ricerche nel web, e l’unica informazione che
riuscii a scovare fu che esiste un monsieur Escarmand, residente ad Orléans, e
che scrisse qualche anno fa un libro di poesie. Spero sia davvero lui, anche
perché non ce lo vedo vendere tappeti in Senegal.
Sicuramente un artista da (ri)scoprire. Cerco da molto tempo le due cassette "Les Enfants D'Alice Zohar" / "Alice Zohar". Se qualcuno le avesse...Secondo me sarebbe da recuperare anche tutto il materiale di Mario Marzidovsek, altro artista straordinario degli anni 80, purtroppo prematuramente scomparso.
RispondiEliminaComplimenti per il Blog.
Carlo